Il Gran Sasso d'Italia versante sud-est

Questo tomo descrive il settore orientale del Gran Sasso, con la cresta spartiacque, sulla quale sono allineate le principali vette della zona, ma anche la regione di Campo Imperatore e le dorsali che a sud di questa degradano verso l'altopiano di Navelli e la valle del Tirino. Tale area risulta compresa nei comuni di Barisciano (fraz. Barisciano, Picenze), Poggio Picenze, L'Aquila (circ. Paganica), San Pio delle Camere, Carapelle Calvisio, Castelvecchio Calvisio, Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Castel del Monte, Villa Santa Lucia degli Abruzzi, Capestrano. In totale, sono 12 tenimenti.

La linea pedemontana che delimita il territorio considerato passa per i centri abitati di Picenze, Poggio Picenze, segue la strada statale n° 17 lambendo Barisciano, Castelnuovo, San Pio. Da qui riprende il tracciato dell'antico tratturo di Centurelle ed in parte della antica via Claudia Nova. Segue infatti il confine comunale di Carapelle; poi taglia la parte bassa del comune di Castelvecchio entrando in quello di Calascio fino alla forca di Pesatero. Da questo punto il tracciato ideale coincide coi confini comunali di Castel del Monte e Villa Santa Lucia fino alla frazione Capodacqua di Capestrano, a partire dalla quale segue la base pedemontana fino ai confini provinciali. Resta escluso da questa zona il territorio comunale di Ofena, a parte l'exclave montana circondata dal tenimento di Villa Santa Lucia, un tempo frazione di Ofena stessa.

Le prime testimonianze di insediamenti umani stabili nel territorio compreso fra il Gran Sasso e l'altopiano di Navelli e l'Aterno risalgono all'età del bronzo (II millennio a.C.), epoca in cui il numero dei siti si amplia di molto, comprendendo nella fase finale anche località sulla cima di alture, alcune delle quali artificialmente munite con mura in pietra. Si parla, pertanto, di un primo "incastellamento" degli abitati, avvenuto attorno alla metà del II millennio a.C. Queste elevazioni sono per lo più di modesta entità, vicine ai moderni abitati e pertanto, per ciò che qui interessa, è da ritenersi normale che nel corso dei millenni il nome originario dell'età del bronzo sia andato perduto, sostituito da altri toponimi più direttamente legati al coevo sfruttamento agricolo-pastorale della zona.

La situazione cambia con la successiva età del ferro (I millennio a.C.), quando il numero di alture fortificate, con differenti modalità, cresce di molto, e si allarga ad includere località ora isolate, distanti dai centri abitati, spesso a quote decisamente medio-alte. Per la quasi totalità delle aree suddette, se il toponimo originario è andato parimenti perduto, ci resta nella presente designazione la descrizione dei recinti murari, dei quali ancora restano dei ruderi, spesso riutilizzati come 'mandroni' per il bestiame. Si riportano, come esempi, cérchjë (Colle del Cerchio) a Picenze, rë furtiùinë (Fortini) a Barisciano, rë castëlliàccë (Castellacci) a Barisciano, ru castëllàccë (Castellone) a Civitaretenga, Castel Gagliano a Capestrano.

Per una manciata di siti, inoltre, il toponimo attuale può farsi risalire direttamente alla fase storica originaria, non essendo interpretabili mediante la nomenclatura topografica latina o successiva. Un primo caso è la montagna detta ru mattónë (Monte Mattone) a Castelvecchio Calvisio, che presenta una fortificazione artificiale sulla cima, la quale si ritiene potesse estendersi anche ad altri settori del crinale. Il toponimo pare riflettere la base mat(t)a, diffusa nel sostrato preromano della penisola iberica e dell'Italia. Nel lessico romanzo di queste regioni compare come mata 'cespuglio', matta 'fratta' e, in particolare in Abruzzo, màttë 'fastello, fascio, mazzo'. In queste voci, il senso attuale di 'fratta, siepe' può derivare da quello originario di 'recinto, muro', che ben riproduce la situazione locale di altura fortificata. Tra l'altro, anche la voce italiana mattone, la cui origine è comunemente fatta risalire alla stessa base matta, può contribuire a delinearne il significato originario di 'muro'.

Un altro toponimo relativo ad altura fortificata nell'età del ferro è la sëpàra (Colle Separa) a Barisciano. Qui vediamo un riflesso di una voce italica risalente alla base indeuropea *saip- 'recinto', da cui anche il latino saepes 'siepe'. Dalla stessa voce italica deriva il nome di Sepino (Cb), rocca dei sanniti, attestato in un testo osco proveniente da Cuma come saipinaz. L'evoluzione semantica dal tema indeuropeo (e dalla voce italica) 'recinto', a 'siepe' del latino (recinto arboreo per le colture) è la medesima già vista per la base matta. Ciò per confermare come, in questa fase protostorica (I millennio a.C.), coesistessero almeno due diverse tradizioni linguistiche, una delle quali costituisce lo strato sabellico (in quest'area, vestino) che emerge in epoca romana, mentre l'altra, probabilmente preesistente dall'età del bronzo, ci è quasi completamente oscura.

Allo strato più antico possono forse ricondursi altri due toponimi che individuano siti dell'età del ferro, màllë sprùina (Valle Asprina) a Barisciano e Colle Asprino a Navelli. La seconda località è un colle sul quale sono stati individuati resti di fortificazioni, mentre la prima è una valletta vicinissima alla già citata località dei Castellacci. La voce che è alla base di entrambi i toponimi riflette senz'altro l'aggettivo latino asper 'aspro, impervio', come diversi Monte Aspro, Aspremont, ecc. ma, visto che la stessa voce latina non sembra avere connessioni con altre lingue note, non è da escludere che si tratti di relitto del sostrato, accolto dal latino, forse per tramite italico-orientale.

Possono pure venire ascritti ad uno strato linguistico genericamente 'preromano' - ulteriori indagini potranno chiarire se si tratta di voci di origine italica o precedente - diversi toponimi altrimenti senza spiegazione. Il più importante è, forse, sëssiàndë, località presso Santo Stefano di Sessanio, che è il sito del pagus romano, poi trasferito nell'area attuale, e dal cui nome deriva la specificazione Sessanio al nome del paese, da tempo in uso. Il toponimo dialettale formalmente riflette una terminazione in i (un locativo), mentre il tema può essere confrontato con il nome di Suessa, città degli Aurunci, oggi Sessa Aurunca (Ce), di origine preromana, con riscontri in Licia e Spagna. Data l'antichità dell'insediamento, pare meno probabile per sëssiàndë una origine prediale, dal personale romano Sessius, con il suffisso -anus che indica appartenenza, come per il toponimo Sessano del Molise (Cb).

Altri due nomi di paese vengono comunemente ricondotti allo strato prelatino. Per Calascio si ipotizza una base *cala, col significato di 'pendio scoceso'. Carapelle, invece, applicato in origine alla conca a valle dell'attuale abitato dove si trova un pozzo frequentato sin dall'antichità, si confronta con una voce del lessico laziale, carapone 'gorgo, palude', il che appare corretto anche da un punto di vista semantico. Pertanto questo nome (coi derivati carapellotto, carapellese ecc., pure diffusi nell'area in oggetto) va distinto da un'altra serie di toponimi, anch'essi preromani, comprendente i nomi delle località càrëvë mùorë a San Benedetto in Perillis, carrùttë a Carapelle e carrótta a Castelvecchio (da *caravotto/-a), nonché lë carrëvónë (Carbone) a Barisciano. Questi sono derivati di una oscura voce *càrabo-, da cui caravum in documenti medievali lombardi, col significato di 'macera, sasseto'. Il secondo termine del toponimo di San Benedetto, mùorë (plur. metafonetico di *moro), è a sua volta di origine prelatina, riflettendo la forma asuffissata del tema *mur(r)- 'mucchio', nel senso di 'mucchio di rocce', da cui anche l'italiano mora 'mucchio', e l'abruzzese morra 'gregge (di pecore)'.

Continuando con le voci dello strato linguistico preromano, occorre citare il nome di Navelli, che si confronta con navëllónë (Navellone) a Castel del Monte, e fùnnë dë ju navéglië a Villa Santa Lucia, delle conche coltivate. Questi nomi riflettono la base *nava, 'conca', ben rappresentata nel sostrato iberico (ad es. il nome della Navarra, regione basca) ma, almeno per gli ultimi casi, è possibile che l'origine più diretta sia un appellativo dialettale, ormai scomparso nel lessico.

Tornando al territorio di Santo Stefano, che fa parte dell'area più conservativa, anche da un punto di vista dialettale, della regione in esame, si può considerare il toponimo vàllë marìna come prelatino, derivato da una base mara 'pantano, acquitrino' , probabilmente connesso col latino mare. Va però osservato come, anche nei toponimi più antichi della Sardegna, il cui sostrato è forse affine all'antico iberico, affiora la voce mara, ad esempio in Mara (Ss), col medesimo significato qui ipotizzato.

Ancora nel territorio di Santo Stefano, svetta la grande montagna di tòra (ribattezzata sulle carte M. Cecco d'Antonio, per confusione col nome dialettale lë ciòcchë dë ndòra, da ciocca metatesi di coccia 'testa', nel senso di 'sommità tondeggiante'), il cui nome richiama una supposta base prelatina taura 'tumulo', concorrente del latino torus 'rialzo'. In questo caso, è solo la terminazione in -a del toponimo che può far propendere per un origine prelatina, in quanto i riflessi del latino torus sono molto diffusi, ma sempre nelle forme Toro, Torino, Tuoro, ecc.

Parlando poi del nome del vallone di vràdda a Castel del Monte, ci si addentra in un territorio lingusitico poco esplorato. Il nome pare connesso con l'idronimo Bràdano, lat. Bradanus in Lucania, e può formalmente risalire ad una voce *brad-ua, di aspetto prelatino, con la tipica formante -ua che si ritrova, ad esempio, in Mantua, Padua, ecc. La base, a sua volta, richiama il latino (di tramite etrusco ?) pratum 'prato umido', senza connessioni indeuropee, che può aiutare a definirne il significato.

Da ultimo, si cita il nome locale màglia vëlónë, a Calascio, il cui secondo termine si confronta con diversi toponimi Velo in Veneto, senza spiegazione romanza. Molti nomi che presentano la base vel- sono antichi, inquadrabili nella serie indeuropea *av- 'acqua corrente, fiume' (estesa in *avel-) che comprende, ad esempio, gli idronimi abruzzesi Aventino, Velino, Avella, Vella, ecc.

Con i siti attestati in epoca storica, si entra nella fase della convivenza italico-romana e poi della progressiva romanizzazione. Anche i toponimi vengono inquadrati nel sistema onomastico latino. Per questa fase sono testimoniati Furfo, Peltuinum, Aufinum, Incerulae e l'idronimo Tirinus. Il nome Furfo, che designa un vicus dipendente dalla vicina Peltuinum, è ancora vivo nella zona come piàna farfòna. Sembra di origine italica, vista la doppia presenza della "spia" fonetica costituita dalla f. Peltuinum è spesso ricondotto ad una voce 'mediterranea' *pelta/palta 'fango', da cui verrebbe, in ultima analisi, anche il latino pantanum 'pantano'. Ma si tratta probabilmente di un tema in -u dell'estensione *pelt- della radice indeuropea *pel- 'ampio e piano'. Aufinum è invece quasi sicuramente di origine italica, dalla radice indeuropea *oudh- 'fertile, ricco', attraverso un sabellico *auf- che si ritrova anche nei nomi Aufidena, Aufidus. La struttura di Incerulae fa pensare ad un nome sabellico latinizzato (preposizione in, suffisso diminutivo -ulae), ma l'origine della designazione è oscura. L'idronimo Tirinus fl. (in iscrizioni) si confronta con Trigno, altro fiume abruzzese, e con Drina, nei Balcani, per i quali è stata ipotizzata una base "idronimica" *dr-/tr-.

La conquista romana del territorio ci viene testimoniata da due serie di toponimi, entrambe legate a nomi personali e connessi allo sfruttamento agricolo e pastorale del territorio. Una fase più antica è costituita dai gentilizi in -us, -ius, -eus, che forse testimoniano l'assimilazione nel sistema onomastico latino di nomi personali sabellici. Appartengono a questo gruppo toponimi come nasìnë (Piano Aseno) a Navelli, da Asinius, con concrezione della preposizione in, cëlùgnë a Capestrano, da Aquilonius, Voltigno a Villa, da Voltinius, còsta cicògna a Barisciano, che si confronta con Ciconio (To), da *Cicconius, rapùnë a Castelvecchio, da Raponus. Incerti sono, in questo ambito, ignìzzë e lunghìzzë di Castelvecchio. Quanto a tàrtëlë (Tartalo) di Santo Stefano, si confronta con Tàrtano (So) per il quale è stata ipotizzata una connessione con personali come Tartius, Tartonius, ma non è da escludere un'origine preromana.

Una fase successiva, tardo-antica, è documentata dall'abbondanza dei nomi prediali, formati da un personale romano per lo più col suffisso -anus, il quale in origine era un aggettivale, associato a nomi comuni quali ager, fundus, villa, terra, silva, ecc. Fra i nomi dei paesi, rientrano in questa serie Capestrano, da un personale ignoto e Barisciano, da Varisius. Numerose sono poi le contrade, in genere pianori coltivati, che portano tuttora un nome di origine prediale. A Calascio si trova anzànë (Anzano), da Antius, a Capestrano cambagnà (Campagnano) da *Campanius, Castel Gagliano da Gallius e Presciano (le famose fonti), a Carapelle dëzzànë (Dezzano) da Detius e sujànë (Soiano) da Soius, a Villa Santa Lucia jimmànë (Gemmano) da Gimius e frëddànë (Freddano) da Fridus, a Santo Stefano lucchjànë (Lucchiano) da Luculus e rëfànë da Rufus, e poi il toponimo Viano, importante pianoro carsico diviso fra Castrelvecchio e Santo Stefano, da Vilius, Avidius o simili. Di origine etnica sarà, infine, Picenze, dal nome dei Picentes (Piceni), popolo (pre)sabellico.

Alla decadenza delle istituizioni romane fa seguito la sovrapposizione dello strato germanico, specialmente longobardo. Ed è soprattutto l'onomastica (i nomi personali) ad essere ben rappresentata nel territorio in esame. Si possono citare i toponimi còsta dë vózë (M. Bolza) a Calascio, dal gotico Bozo, j'aciprànë a Villa (F.te Aciprano) da un personale latinizzato come Aciprandus, bùtë (Buto), importante pianoro carsico a Castelvecchio, dal longobardo Buto e, fra i nomi dei paesi, Civitaretenga dal longobardo/latino Ardengus. Una importante "spia" longobarda è il suffisso -isc-, di norma applicato come derivativo a nomi personali. Si ha, così, rë mailéschë (Mailesche) a Calascio, da Magilo, vezzeggiativo del longobardo Mago (o anche del gotico Mag). Talvolta il suffisso -isc- è stato applicato a nomi latini, e ciò certamente in una fase successiva alla conversione dei longobardi al cattolicesimo, allorchè le comunità germanica e romana andarono cominciando il processo di fusione. Come esempio in questa zona abbiamo a Santo Stefano carpèsca (M. Carpesco) dal personale Carpus, ed ancora il nome di Stefanesco, precursore dell'attuale centro di Castelnuovo, da Stephanus. Nel toponimo la sprënéschë (Spernesca) di Carapelle il suffisso -isc- segue un fitonimo, dialettale spèrnë 'asparagio'. Alla serie di origine germanica può pure ricondursi il nome dell'importante piàna lòccë, per il quale è stato proposto un confronto col francese (franco ?) loge 'tenda, accampamento militare'. Quanto alle voci longobarde passate nel lessico dialettale, risultano presenti guardia, da *ward 'luogo elevato, vedetta' in guèrda a Calascio e piànë dë la guèrdië a Navelli, gualdo, da *wald 'bosco' in magliallónë (Maglialloni) e màglia vëlónë (V. Magliavelone) a Calascio, dal latino volgare *valdja, neutro plurale di gualdum.

Come testimonianza dell'elemento etno-linguistico ebraico, si può citare il toponimo jùda a Calascio, dal personale Iuda.

Invece risulta assente, quanto a testimonianze toponomastiche, il periodo dell' incastellamento alto-medievale e normanno, altrove (ad esempio nella vicina area amiternina) ben rappresentato da toponimi del tipo castiglione.

Le successive fasi storiche sono quelle del consolidamento delle formazioni romanze (dialettali), ad esempio con la diffusione di soprannomi per i toponimi relativi alle proprietà, e quella, attuale, della "italianizzazione" del lessico e della toponomastica.

I dialetti

Per quanto riguarda i dialetti romanzi parlati fino a pochi decenni orsono nell'area in esame, vanno distinte le seguenti situazioni:

1) Paganica presentava in origine un dialetto affine a quello di Camarda, con metafonesi sabina solo sulle medie chiuse, assenza di isocronismo sillabico e conservazione delle vocali atone, ma non della distinzione di -o da -u. Inoltre, come nei dialetti aquilani, si osservava lo scadimento di v-. Ora il dialetto di Paganica è l'aquilano, con metafonesi generalizzata e distinzione di -o da -u.

2) Picenze va con Pescomaggiore (ed Assergi, dall'altro lato), costituendo una transizione fra il dominio raialese e quello propriamente abruzzese. Il tratto di unione è lo scadimento delle vocali atone, eccetto -a in posizione finale.

3) Barisciano si trova su una direttrice 'morta' che ha per nodo 2). Infatti, rispetto a quest'ultimo, introduce la metafonesi di tipo napoletano invece di quella sabina.

4) Poggio Picenze introduce, rispetto a 2) l'isocroniscmo sillabico, che caratterizza i dialetti propriamente abruzzesi.

5) Il grosso dell'altopiano di Navelli, e quindi San Pio, continua l'evoluzione verso l'abruzzese con la piena metafonesi, anche sulle medie aperte.

6) Rispetto a San Pio, Carapelle si trova arretrato, riproducendo le condizioni di Poggio Picenze 4) con metafonesi parziale.

7) Rispetto a Carapelle, Castelvecchio si trova ancora più arretrato, proponendo una metafonesi di tipo misto: sabino da -u e napoletano da -i.

8) Nodo d'unione fra 7) e 3) è l'aggregato di Calascio e Santo Stefano, che presentano la metafonesi napoletana come 3), ma l'isocronismo sillabico come 7).

9) I quattro comuni della Valtirino (Castel del Monte, Ofena, Villa e Capestrano) ripropongono, rispetto a 5), l'assenza di isocronismo sillabico, costituendo una sorta di isola conservativa in mezzo a dialetti che invece presentano questa innovazione.

Si tratta, come si vede, di una delle aree più variegate, dal punto di vista fonetico, dell'intero Abruzzo, nella quale si sono incontrate diverse tendenze innovative propagatesi nei secoli addietro.

Orografia

Per concludere questa introduzione, conviene descrivere brevemente dal punto di vista orografico il massiccio montano in esame.

L'ossatura del massiccio è costituita da due crinali, quasi paralleli, che delimitano il bacino di Campo Imperatore, non chiuso ma tributario in qualche modo del Tavo e quindi del Saline. Il crinale settentrionale divide tale bacino da quello del fiume Vomano, e forma l'allineamento più elevato del Gran Sasso. Dal Rifugio Duca degli Abruzzi (2422 m), tale dorsale piega a nordest con la Sella di Monte Aquila (2335 m), la cima di Monte Aquila (2495 m), torna a est con il Vado di Corno (1924 m, vàdo a Paganica) ed infine con la cima di Brancastello (2385 m, brancastèllo a Paganica), per poi proseguire oltre il Vado del Piaverano (2327 m) in territorio di Santo Stefano. Qui si trova la vetta alpinistica di M. Infornace (2634 m) ed oltre, in tenimento di Calascio, l'imponenete Monte Prena (2561 m, móndë préna a Calascio). La dorsale continua poi con la cima della Guardiola (2564 m, uardiòla a Castel del Monte), da dove devia verso nordest come spartiacque collinare fra Vomano e Saline. Un ramo secondario continua però in direzione sudest, con il Vado di Siella (1725 m, uàdë dë sièlla a Castel del Monte), la più modesta elevazione di Macerone (1882 m, macërónë a Castel del Monte).

La seconda dorsale è quella che delimita a sud Campo Imperatore, formando lo spartiacque fra il bacino del Tavo-Saline e quello dell'Aterno-Pescara. Dalla cresta del Duca degli Abruzzi, questa dorsale piega verso sud, con la cima delle Centorelle (2233 m, scendorèlle a Paganica) e quella di Monte Cristo (1928 m, mónde crìsto a Filetto). Da qui lo spartiacque separa Campo Imperatore dalla serie di bacini chiusi che fanno capo a Locce, con la cima delle Faiete (1915 m, faièta a Barisciano) e la montagna di Tora (1758 m, tòra a Santo Stefano). Da questo nodo orografico, si prosegue con il valico di San Cristoforo (1654 m, sàndë cristòfërë a Calascio), al quale si salda un crinale secondario con le elevazioni del Colle del Paradiso (1557 m, ru còllë dë ru puaradìsë a Calascio) e del Colle Alto (1714 m, coll'àldë a Calascio). Proseguendo invece lungo la dorsale principale, si trovano la cima di Coccia (1927 m, còccia a Castel del Monte) e quella gemella di Monte Corno (1904 m, móndë córnë a Castel del Monte). Oltre il valico stradale di Capo la Serra (1599 m), si eleva la lunga catena delle Riparate (1771 m, rëparàtë a Castel del Monte). Da qui si stacca un crinale secondario con il colle della Capricciosa (1208 m, la capricciósa a Villa). Lungo la dorsale principale si giunge al nodo orografico con il bacino chiuso del Voltigno.

Quest'ultimo displuvio culmina con la cima della Meta (1784 m, la mètë a Villa), oltre la quale compie un arco fino al Vado di Focina (1383 m, fòcënë a Villa), per entrare in provincia di Pescara. A partire da questo punto anche lo spartiacque Pescara-Tavo devia verso nordest, abbandonando il territorio in esame. Una ulteriore diramazione è però quella che delimita la valle del fiume Tirino. Procedendo in direzione sud, questa culmina con la cima della Monda (1801 m, la mónnë a Villa), si deprime al valico di Cannatina (1060 m, chennetìnë a Villa), per elevarsi di nuovo con la montagna di Scarafano (1432 m, scarafà a Capestrano), prima della Forca di Penne (918 m, fórca dë pénnë a Capestrano).

A sud della dorsale appena descritta, si estendono il bacino del fiume Aterno e due bacini chiusi. Il più occidentale di questi è quello Piana Locce (1224 m, piàna lòccë a Barisciano). Lo spartiacque di detto bacino si stacca nei pressi di Monte Cristo, si innalza con la Montagna Grande (1757 m, mundàgna ròssa a Barisciano), poi con la catena della Ruzza (1643 m, rùzza a Barisciano). Da questo nodo si stacca un crinale secondario che comprende l'altopiano di Colle Rotondo (1403 m, còllë rotónnë a Picenze) e le sue due dipendenze: la cima della Croce di Picenze (1327 m, la crócë a Picenze) e quella del Cenerale (1291 m, cënëràlë a Poggio Picenze). Lo spartiacque di Locce continua invece con la cima della Selva (1623 m, la sélva a Barisciano), quella di Ciafanello (1557 m, ciafanìëllë a Barisciano, zafanìllë a Santo Stefano), e quella di Cappellone (1557 m, cappëllónë a Santo Stefano). I dossi di Tracolli (1570 m, andrëcòllë a Santo Stefano) saldano questo tratto alla montagna di Tora, concludendo l'anello.

Un altro bacino chiuso è quello di Viano e Buto. Il relativo spartiacque si stacca dalla Selva, dirigendosi verso sudest con l'allineamento della Camarda (1384 m, la camàrda a Castelvecchio, la camàrda a Barisciano). Piega quindi verso est, con il Mattone (1282 m, mattónë a Castelvecchio), nei pressi del quale si distaccano i crinali secondari che andranno a culminare con Monte Gentile (1257 m, móndë gëndìlë a San Pio, móndë gëndìlë a Carapelle) e, rispettivamente, con la Serra (1223 m, la sèrra a Carapelle). Una propaggine che si allunga verso la valle del Tirino è invece quella del Colle di San Vittorino (894 m, còllë a Carapelle). Passando sullo sperone dove sorge Castelvecchio, la dorsale principale raggiunge il montagnone di Cocozzo (1338 m, chëcózzë a Calascio) e poi, deviando verso nordovest, le Cime di Anzano (1507 m, cìmë d'anzànë a Calascio). Una crestina secondaria delimita il pianoro del Tagno, e culmina con la montagna della Rocca (1460 m). Continuando verso ovest, la dorsale principale si eleva ancora con le Serre (1478 m, lë sèrrë a Santo Stefano), prima di ricongiungersi allo spartiacque di Locce nei pressi di Cappellone.

Topografia citata

GUIDE
Club Alpino Italiano, sezione dell'Aquila, Gran Sasso d'Italia, carta dei sentieri, sc. 1:25000, S.EL.C.A., Firenze, 1990.
Autori Vari, Guida turistica della Comunità Montana Campo Imperatore - Piana di Navelli, Menabò, Ortona, 2000.

CARTOGRAFIA IGM
Regione Abruzzo, Carta topografica regionale, quadr. 140-II, 140-III, 146-I, 146-IV, sc. 1:25000, dalla Carta d'Italia IGM, ril. 1955, S.EL.C.A., Firenze, 1986.

CARTOGRAFIA STORICA
G. A. Magini, Abruzzo Citra et Ultra, 1620.
G. A. Rizzi Zannoni, Abruzzo in Atlante geografico del Regno di Napoli, Napoli, 1808.

STORIA LOCALE
M. Morelli, Poggio Picenze ricerche storiche, CETI, Teramo, 1967.
R. Giannangeli, Terra di Barisciano, Japadre, L'Aquila, 1974.
G. Fiordigigli, Paganica, Eco, San Gabriele, 1991.
O. Pucci, San Pio delle Camere, dattiloscritto.
Dep. Abr. di St. Patria, Homines de Carapellas, Studi e testi, fasc. 10, Japadre, L'Aquila, 1988.
A. Marsili, Castelvecchio Calvisio, Ecoturismo, 1984.
Calascio e la sua Rocca: una storia senza tempo, Amm. com. e pro-loco di Calascio, 1971.
Oltre il passato, Com. di Castel del Monte, 1990.
D. Sansone, Ofena città preromana, Istituto Etnografico Meridionale, 1978.
G. Conti, V. Placidi, Storia ed arte di Capestrano, L'Aquila, 1978.